giovedì 19 maggio 2011

Sorelle e finestre

Io e sorella n.2 eravamo due persone molto serie e impegnate, da piccole.

Ad esempio, la sera, quando mia mamma entrava in camera, radunava noi tre sorelle (sorella n. 4 era ancora nei pensieri del Signore) dal casino cosmico che riuscivamo a creare in qualsiasi situazione, e ci faceva dire la preghiera prima di andare a letto, io e sorella n.2 tiravamo fuori dei pensierini niente male:

"Prego perché i bambini non muoiano più di fame" cinguettavamo, "Prego perché non ci sia più la guerra in Gliugoslava" (in Iugoslavia: sorella n.2 era molto attenta ai problemi del mondo).

A Natale, poi, era l'apoteosi di queste cose: a scuola ci riempivano la testa di buoni propositi, che a Babbo Natale non bisogna mica chiedergli solo i giochi per sé, ma bisogna prima di tutto pensare ai bambini dell'Africa, della Iugoslavia, eccetera, eccetera, eccetera,...

E noi sorelle n.1 e n.2 prendevamo davvero molto sul serio tutto ciò, sfornando ogni sera preghiere sempre più apocalittiche (di pregare per i nostri genitori, per i nonni, per noi stesse, non ci veniva mica in mente: troppo banale).

Finché un giorno, sorella n.3, con l'impertinenza datale dall'essere una bambina coi riccioli biondi e il nasino all'insù, ha distrutto tutto il nostro engagement. Rispondendo alla mamma che le chiedeva per che cosa volesse pregare ha dichiarato impunemente:

"Io? Io prego per la finestra".

mercoledì 18 maggio 2011

Anticamera

Lunedì mattina di sole, a Forlì.

Esco di casa per fare la dichiarazione dei redditi. 

Parto scettica: sembra quasi una presa per il culo, vista la magrezza del mio stipendio. 

Mi faccio forza ed entro al sindacato; attorno a me solo vecchi impazienti e immigrati che non capiscono una parola di italiano e sono trattati come ritardati dagli impiegati (che poi io mi sono sempre chiesta: perché chi fa quel tipo di lavoro è sempre rabbioso e maleducato? Forse che quando si entra in un ufficio di servizi pubblici avviene un cambio di personalità violentissimo? Mah...)

Seduta sulla mia seggiola, aspettando il mio turno, un pensiero mi attraversa il cervello: questo è il mondo che vedranno i miei figli.

Vecchi e stranieri (si sa che gli italiani non fanno figli). 

Io inizierei a preoccuparmi di questo, piuttosto di star lì a litigare per un voto in più o un voto in meno.

giovedì 10 marzo 2011

Educazione sentimentale

Oggigiorno si fa un gran parlare dell'affettività degli adolescenti, spesso cresciuta attraverso modelli sbagliati, superficiali e sostanzialmente riduttivi.
E' vero, è proprio così; ma per risolvere questo grave problema non servono corsi extra - super - ultra specifici di educazione sessuale, visite ai consultori, programmi televisivi condotti da signorine che vanno verso l'attempato ma vestono "trendy" e parlano "gggiòvane" (il che, a mio parere, le rende non abbastanza spigliate ma nemmeno serie al punto giusto, facendole cadere verso l'abisso di quella brutta bestia che è la volgarità).


Credo che per fornire alle fanciulle (e ai baldi giovani) d'oggi la corretta educazione sentimentale, basterebbe leggere minuziosamente l'opera omnia di Jane Austen.


Sissignori, proprio così.


Innanzitutto i romanzi della Austen sono uno degli esempi più evidenti di ciò che realmente significa classicità e modernità, trascendendo, pur essendone meravigliosamente ancorati, tutto il contesto storico in cui sono stati concepiti e sviluppati.
Che Mr. Darcy sia uno di noi è evidente, nonché altamente sperabile per tutte le single in circolazione.


Entrando nello specifico possiamo osservare che in tutti i libri della Austen ci sono sempre (e perdonatemi se banalizzo ma soprattutto perdonami tu, Jane cara, lo faccio con le migliori intenzioni):

- la ragazza protagonista, intelligente, molto dignitosa e orgogliosa ma spesso sprovveduta per quel che riguarda le faccende amorose, di cui tuttavia è fermamente convinta di intendersi creando così una serie di circostanze ambigue nelle quali finisce solo per confondersi (cfr Emma).


- il belloccio di turno, ricco e sfacciato come Frank Churchill, ma anche povero e arrivista come  Wickham. Egli cerca subito, riuscendoci, di fare colpo sulla nostra eroina sprovveduta ma ben presto si capisce che non ha un vero interesse, bensì intende smuovere le acque per coprire o nascondere qualcosa di losco. 


- l'antagonista in amore che può essere una ragazzetta vacua come Lydia Bennet o Harriet Smith, o enigmatica come Jane Fairfax, o addirittura alquanto malefica, come Mary Crawford. Ma, badiamo bene, in genere il vero eroe della storia non si lascia corrompere da queste donne che infatti sono in combutta con il belloccio (a parte Edmund in Mansfield Park e infatti è insopportabile).


- una serie di donne (zie, madri, tutrici, tate) o uomini anziani (padri, zii, tutori, amici di famiglia), che influiscono con i loro consigli sulle sorti della nostra eroina. I consigli possono essere positivi o negativi. In Persuasione, ad esempio, hanno effetti devastanti sull'amore fra Anne Elliot e il capitano Wentworth.


- infine c'è lui, l'eroe! Non è particolarmente bello né particolarmente giovane. Tuttavia è un uomo distinto e affascinante, che in apparenza non da segni di bontà e gentilezza ma che nel segreto del proprio cuore e in gesti discreti e intimi svela un animo puro e candido. 
Egli non solo è attratto dalla protagonista ma prova per lei un sentimento di grande affetto, tanto che spesso le sta accanto con grande sensibilità e tatto, fino allo svelarsi dell'amore. I casi più esemplari sono, a mio parere, l'arcinoto Mr Darcy (superba la versione di Colin Firth per la BBC) e il più caustico Mr Knightley. 


Ricapitolando, sono tre i grandi insegnamenti che Jane Austen fa a noi donne:


1) nella vita serve tanta IRONIA, sia nei confronti di se stessi che nei confronti di tutta la realtà.


2) le apparenze ingannano e la via più corta spesso è la più pericolosa.


3) mai e poi mai darsi (e darla) così, in un impeto di sentimento. Si resta fregate, ragazze, già dal '700. 

venerdì 4 marzo 2011

A proposito di elenchi

Guidare in mezzo a una distesa di neve, in una luce lattiginosa e opaca, mentre Tom Waits sbraita "everywhere I go it rains on me" a tutto volume, è una delizia.

Suggerire a Saviano, metti caso che le mozzarelle di bufala vadano a male.

giovedì 3 marzo 2011

Giovedì sera, verso le dieci

C'è la luce al neon della cucina che vibra e a tratti sbiadisce; c'è il borbottio dell'acqua che si scalda nel bollitore; c'è la pioggia che gocciola ritmica e determinata, oltre la finestra.


E ci sono io, seduta scomposta nella sedia (ho già male alle gambe, una è piegata sotto l'altra), gli occhi un po' rossi, che respiro inconsapevolmente, arraffando pezzi di vita che non so se meritarmi. 


Ma mi sento parte di tutto questo grande prodigio.

Outing #2

So che è sbagliato ma prima di scrivere qualsiasi cosa, oggi, voglio mettere le mani avanti: tutto quello che leggerete non è in alcun modo condizionato dalla mia totale incapacità di tenere qualcosa in mano per più di 10 minuti senza farlo cadere, né dal fatto che so a mala pena usare un nokia 3310 e neppure dal fatto che non ho un soldo da sbattere con l'altro.

Premesso ciò mi butto e confesso che: 

iodicoNOall'iphoneeall'ipad1,2,3equantialtriancoranefaranno

Conosco perfettamente l'innovazione che questi simpatici oggetti hanno portato nelle nostre vite e ne riconosco il valore oggettivo; oltretutto mi affascinano anche: mi piacerebbe molto vedermi in stile geek girl (si dice così?), certo che dovrei anche cambiare ambientazione (Forlì non ha nulla di radical chic... qui quelli con l'iphone sono comunque rozzoni, rozzoni con più soldi, ma rozzoni).

Tuttavia chi possiede l'iphone, o l'ipad, è molto impegnato a mantenersi aggiornato: ci sono sempre nuove applicazioni da scaricare e dopotutto quella vecchia volpe di Steve Jobs passa le sue giornate a frustrare ingegneri per produrre versioni sempre più nuove e trendy.

Insomma, ora che ci si compra l'ultimo modello e si capisce come funziona, è già da rottamare!

Ecco, io dico no a questo: a tutta questa ansia da prestazione tecnologica, per cui non va mai bene quello che già si ha e c'è sempre qualcos'altro da desiderare, per cui risparmiare, per cui anche sprecare (talvolta) dei soldi, del tempo, delle energie. 

A me, invece, piace sapere che il mio cellulare anni '90 funzionerà quel tanto che basta per chiamarti, sentire la tua voce, darti un appuntamento.

Che invece di ingegnarmi per immortalare con una fighissima microcamera incorporata un tramonto spettacolare, accosterò con la macchina e resterò a contemplarlo.

Che il giornale lo posso comprare la mattina presto, stringerlo sotto il braccio finché non arrivo a casa, aprirlo e sentire l'afrore amarognolo dell'inchiostro e della carta.

Che i libri che mi aiutano a svernare in questa stagione così ostile li posso sottolineare, farci le orecchie, scribacchiare da tutte le parti, infilarli in borsa e aprirli in treno, al bar, nella sala d'aspetto del dentista. Non si rovineranno, non saranno da rivedere e da aggiornare. 

I libri sono uguali da 200, 100, 50 anni, eppure sono sempre nuovi e diversi per me, per te, per ciascuno di noi. 

E questa cosa, sinceramente, mi esalta molto più di qualsiasi ipad2. 






mercoledì 2 marzo 2011

La mia specialità

Ottenere un mercoledì dotato di bufera di neve, qui a Forlì, è parecchio insolito, soprattutto se è il 2 marzo.

Sono saltati tutti gli impegni: le scuole sono chiuse, quindi non si lavora. Niente lezione stasera. La casa è calda, accogliente. C'è un libro decisamente impegnativo (I fratelli Karamazov, nda), sul mio comodino, che aspetta occasioni come questa per essere letto. Ci sono cose da sistemare, progetti da imbastire, ipotesi da verificare.

Eppure ho passato la giornata a fare ciò che mi riesce meglio: perdere tempo.

Purtroppo è un'amara verità che devo iniziare ad accettare: poche persone sanno perdere tempo bene come me, per poi angosciarsi del tempo perso e impazzire quando si hanno già mille altre faccende da sbrigare per finire tutto quello che sarebbe potuto comodamente essere già stato fatto.

Mi concedo questo momento di sincerità: sono un'emerita cazzona.

Me piget.

E ora vado a conquistarmi il divano.