Oggigiorno si fa un gran parlare dell'affettività degli adolescenti, spesso cresciuta attraverso modelli sbagliati, superficiali e sostanzialmente riduttivi.
E' vero, è proprio così; ma per risolvere questo grave problema non servono corsi extra - super - ultra specifici di educazione sessuale, visite ai consultori, programmi televisivi condotti da signorine che vanno verso l'attempato ma vestono "trendy" e parlano "gggiòvane" (il che, a mio parere, le rende non abbastanza spigliate ma nemmeno serie al punto giusto, facendole cadere verso l'abisso di quella brutta bestia che è la volgarità).
Credo che per fornire alle fanciulle (e ai baldi giovani) d'oggi la corretta educazione sentimentale, basterebbe leggere minuziosamente l'opera omnia di Jane Austen.
Sissignori, proprio così.
Innanzitutto i romanzi della Austen sono uno degli esempi più evidenti di ciò che realmente significa classicità e modernità, trascendendo, pur essendone meravigliosamente ancorati, tutto il contesto storico in cui sono stati concepiti e sviluppati.
Che Mr. Darcy sia uno di noi è evidente, nonché altamente sperabile per tutte le single in circolazione.
Entrando nello specifico possiamo osservare che in tutti i libri della Austen ci sono sempre (e perdonatemi se banalizzo ma soprattutto perdonami tu, Jane cara, lo faccio con le migliori intenzioni):
- la ragazza protagonista, intelligente, molto dignitosa e orgogliosa ma spesso sprovveduta per quel che riguarda le faccende amorose, di cui tuttavia è fermamente convinta di intendersi creando così una serie di circostanze ambigue nelle quali finisce solo per confondersi (cfr Emma).
- il belloccio di turno, ricco e sfacciato come Frank Churchill, ma anche povero e arrivista come Wickham. Egli cerca subito, riuscendoci, di fare colpo sulla nostra eroina sprovveduta ma ben presto si capisce che non ha un vero interesse, bensì intende smuovere le acque per coprire o nascondere qualcosa di losco.
- l'antagonista in amore che può essere una ragazzetta vacua come Lydia Bennet o Harriet Smith, o enigmatica come Jane Fairfax, o addirittura alquanto malefica, come Mary Crawford. Ma, badiamo bene, in genere il vero eroe della storia non si lascia corrompere da queste donne che infatti sono in combutta con il belloccio (a parte Edmund in Mansfield Park e infatti è insopportabile).
- una serie di donne (zie, madri, tutrici, tate) o uomini anziani (padri, zii, tutori, amici di famiglia), che influiscono con i loro consigli sulle sorti della nostra eroina. I consigli possono essere positivi o negativi. In Persuasione, ad esempio, hanno effetti devastanti sull'amore fra Anne Elliot e il capitano Wentworth.
- infine c'è lui, l'eroe! Non è particolarmente bello né particolarmente giovane. Tuttavia è un uomo distinto e affascinante, che in apparenza non da segni di bontà e gentilezza ma che nel segreto del proprio cuore e in gesti discreti e intimi svela un animo puro e candido.
Egli non solo è attratto dalla protagonista ma prova per lei un sentimento di grande affetto, tanto che spesso le sta accanto con grande sensibilità e tatto, fino allo svelarsi dell'amore. I casi più esemplari sono, a mio parere, l'arcinoto Mr Darcy (superba la versione di Colin Firth per la BBC) e il più caustico Mr Knightley.
Ricapitolando, sono tre i grandi insegnamenti che Jane Austen fa a noi donne:
1) nella vita serve tanta IRONIA, sia nei confronti di se stessi che nei confronti di tutta la realtà.
2) le apparenze ingannano e la via più corta spesso è la più pericolosa.
3) mai e poi mai darsi (e darla) così, in un impeto di sentimento. Si resta fregate, ragazze, già dal '700.
giovedì 10 marzo 2011
venerdì 4 marzo 2011
A proposito di elenchi
Guidare in mezzo a una distesa di neve, in una luce lattiginosa e opaca, mentre Tom Waits sbraita "everywhere I go it rains on me" a tutto volume, è una delizia.
Suggerire a Saviano, metti caso che le mozzarelle di bufala vadano a male.
giovedì 3 marzo 2011
Giovedì sera, verso le dieci
C'è la luce al neon della cucina che vibra e a tratti sbiadisce; c'è il borbottio dell'acqua che si scalda nel bollitore; c'è la pioggia che gocciola ritmica e determinata, oltre la finestra.
E ci sono io, seduta scomposta nella sedia (ho già male alle gambe, una è piegata sotto l'altra), gli occhi un po' rossi, che respiro inconsapevolmente, arraffando pezzi di vita che non so se meritarmi.
Ma mi sento parte di tutto questo grande prodigio.
E ci sono io, seduta scomposta nella sedia (ho già male alle gambe, una è piegata sotto l'altra), gli occhi un po' rossi, che respiro inconsapevolmente, arraffando pezzi di vita che non so se meritarmi.
Ma mi sento parte di tutto questo grande prodigio.
Outing #2
So che è sbagliato ma prima di scrivere qualsiasi cosa, oggi, voglio mettere le mani avanti: tutto quello che leggerete non è in alcun modo condizionato dalla mia totale incapacità di tenere qualcosa in mano per più di 10 minuti senza farlo cadere, né dal fatto che so a mala pena usare un nokia 3310 e neppure dal fatto che non ho un soldo da sbattere con l'altro.
Premesso ciò mi butto e confesso che:
iodicoNOall'iphoneeall'ipad1,2,3equantialtriancoranefaranno
Conosco perfettamente l'innovazione che questi simpatici oggetti hanno portato nelle nostre vite e ne riconosco il valore oggettivo; oltretutto mi affascinano anche: mi piacerebbe molto vedermi in stile geek girl (si dice così?), certo che dovrei anche cambiare ambientazione (Forlì non ha nulla di radical chic... qui quelli con l'iphone sono comunque rozzoni, rozzoni con più soldi, ma rozzoni).
Tuttavia chi possiede l'iphone, o l'ipad, è molto impegnato a mantenersi aggiornato: ci sono sempre nuove applicazioni da scaricare e dopotutto quella vecchia volpe di Steve Jobs passa le sue giornate a frustrare ingegneri per produrre versioni sempre più nuove e trendy.
Insomma, ora che ci si compra l'ultimo modello e si capisce come funziona, è già da rottamare!
Ecco, io dico no a questo: a tutta questa ansia da prestazione tecnologica, per cui non va mai bene quello che già si ha e c'è sempre qualcos'altro da desiderare, per cui risparmiare, per cui anche sprecare (talvolta) dei soldi, del tempo, delle energie.
A me, invece, piace sapere che il mio cellulare anni '90 funzionerà quel tanto che basta per chiamarti, sentire la tua voce, darti un appuntamento.
Che invece di ingegnarmi per immortalare con una fighissima microcamera incorporata un tramonto spettacolare, accosterò con la macchina e resterò a contemplarlo.
Che il giornale lo posso comprare la mattina presto, stringerlo sotto il braccio finché non arrivo a casa, aprirlo e sentire l'afrore amarognolo dell'inchiostro e della carta.
Che i libri che mi aiutano a svernare in questa stagione così ostile li posso sottolineare, farci le orecchie, scribacchiare da tutte le parti, infilarli in borsa e aprirli in treno, al bar, nella sala d'aspetto del dentista. Non si rovineranno, non saranno da rivedere e da aggiornare.
I libri sono uguali da 200, 100, 50 anni, eppure sono sempre nuovi e diversi per me, per te, per ciascuno di noi.
E questa cosa, sinceramente, mi esalta molto più di qualsiasi ipad2.
mercoledì 2 marzo 2011
La mia specialità
Ottenere un mercoledì dotato di bufera di neve, qui a Forlì, è parecchio insolito, soprattutto se è il 2 marzo.
Sono saltati tutti gli impegni: le scuole sono chiuse, quindi non si lavora. Niente lezione stasera. La casa è calda, accogliente. C'è un libro decisamente impegnativo (I fratelli Karamazov, nda), sul mio comodino, che aspetta occasioni come questa per essere letto. Ci sono cose da sistemare, progetti da imbastire, ipotesi da verificare.
Eppure ho passato la giornata a fare ciò che mi riesce meglio: perdere tempo.
Purtroppo è un'amara verità che devo iniziare ad accettare: poche persone sanno perdere tempo bene come me, per poi angosciarsi del tempo perso e impazzire quando si hanno già mille altre faccende da sbrigare per finire tutto quello che sarebbe potuto comodamente essere già stato fatto.
Mi concedo questo momento di sincerità: sono un'emerita cazzona.
Me piget.
E ora vado a conquistarmi il divano.
martedì 1 marzo 2011
What I want
La letteratura si occupa di cosa cazzo voglia dire sentirsi un essere umano. Se uno parte, come partiamo quasi tutti, dalla premesa che negli Stati Uniti di oggi ci siano cose che ci rendono decisamente difficile essere veri esseri umani, allora forse metà del compito della letteratura è spiegare da dove nasce questa difficoltà. Ma l’altra metà è mettere in scena il fatto che nonostante tutto siamo ancora esseri umani. O possiamo esserlo. Questo non significa che il compito della letteratura sia edificare o insegnare, fare di noi tanti piccoli bravi cristiani o repubblicani. Non sto cercando di seguire le orme di Tolstoj o di John Gardner. Penso solo che la letteratura che non esplora quello che significa essere umani oggi non sia arte.David Foster Wallace, La ragazza dai capelli strani
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